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Calcio

A Difesa dell’Amore

Il calcio vede il tifoso come un cliente via cavo: ma c’è ancora chi la domenica si arma di sciarpa, bandiera e voce.

Il Boom del calcio inteso come fenomeno sociale ci proietta, ormai da diversi anni, in una dimensione parallela al gioco stesso. E’ una dimensione fatta di strategie di marketing e di agenzie pubblicitarie che cavalcano un nuovo modello di business.

IL NUOVO MONDO

L’ingresso delle televisioni nell’industria del calcio ha portato talmente tanto denaro che, a distanza di anni, tutti questi fenomeni hanno contribuito a sradicare l’identità delle città verso la propria squadra di calcio.

Un concreto allargamento del concetto economico di “Globalizzazione” che una volta declinato nel calcio fa si che, proprio questa domenica, ci sia un ragazzo di Bergamo al quale non interesserà nulla dell’Atalanta, perché troppo concentrato a seguire le sorti del Chelsea che insegue la Premier.

Questo processo evolutivo è aumentato di anno in anno, generando oggi un incredibile divario tra il calcio più mediatico ed il cosiddetto calcio di periferia!

C’ERA UNA VOLTA L’APPARTENENZA

Indubbiamente, a tutti noi che ne scriviamo e ne leggiamo piace il calcio come sport, come intrattenimento o come valvola di sfogo dallo stress quotidiano. Ma se si vuole capire come mai tutti noi abbiamo cominciato a modificare le nostre abitudini sul consumo di calcio bisogna guardare ai cambiamenti che in parallelo abbiamo vissuto, più come società che come singoli individui.

Nella maggior parte dei casi, quando noi quarantenni di oggi eravamo bambini, erano le figure paterne i principali colpevoli che inculcavano la passione per questo sport.

Abbiamo iniziato ad andare allo stadio grazie alla figura del padre, del nonno o anche del fratello maggiore: tutte figure a cui ti affidavi per frequentare un tempio dove vivere sensazioni sconosciute.

In altri casi erano tuoi amici: la tua cerchia sociale determinava l’amore nei confronti di un certo club da sostenere. Il tuo club da allora e fino a quando il fiato ti avesse sostenuto. Non era importante il blasone o il marketing del Club; era solo pura appartenenza.

Frequentare lo Stadio soprattutto negli anni ‘80 e ‘90 voleva dire avere radici sociali. Un momento di aggregazione identitaria, che cresceva anche in base ai successi sportivi del Club. Più la squadra vinceva, più aveva seguito, più lo stadio era pieno e di conseguenza poteva arricchirsi.

Il calcio di oggi pensa al tifoso come un semplice cliente che assiste ad uno spettacolo.

Oggi nel nuovo contesto sociale e culturale del calcio moderno, questo non vale più. Abbiamo visto Club, per così dire, di nuova generazione (intendendoli come Brand) che attraverso ingenti investimenti economici e con mirate azioni commerciali e di marketing, degne delle più evolute corporation, hanno saputo riposizionarsi nella nuova bussola del calcio moderno, attraendo masse di tifosi non più geolocalizzati. Manchester City o Paris Saint German sono chiari esempi di quanto voglio dire.

Il calcio si consuma via cavo, via satellite, via internet, nelle scommesse e nel merchandising. E’ business allo stato puro. Il fiato ormai non serve, fa parte della cultura del passato ed è un dato di fatto che le tribune dei nostri stadi sono mezze vuote.

I nostri sentimenti nei confronti del calcio sono i nostri sentimenti nei confronti della vita.

Amiamo il calcio perché amiamo le emozioni che ci trasmette, sia positive che negative. C’è una grossa fetta di tifosi che ha una vecchia storia da raccontare e che si sente parte del proprio Club perché ha imparato ad amarlo in quella comunità di cui fa parte. Non importa se ciò accade in Prima, Seconda, o esima divisione, ma sicuramente oggi è più facile trovare questi sentimenti nella periferia del calcio, dove i campi sono forse ancora in terra battuta. E questa di seguito è solo una delle tante storie che è ancora possibile vivere alle soglie del 2020.

Sostenere è l’unica cosa che conta: Locri ed i suoi Ultras 

Riceviamo e pubblichiamo direttamente dal cuore del tifo amaranto

Seguire la squadra della tua città è motivo di orgoglio, passione, appartenenza ed identità: sono gli aggettivi giusti per capire come è cambiato anche il mondo Ultras…
L’adrenalina e l’attesa della partita sono contagiosi per tutti nel conto alla rovescia che di settimana in settimana cadenza il ritorno allo stadio a vedere giocare la propria squadra del cuore.
In casa o in trasferta non fa differenza.

Locri è una cittadina di tredicimila abitanti… nobile città antica culla della Magna Grecia, che oggi ha tanti uffici amministrativi e dove solo la Squadra di Calcio accende la passione in città: l’A.C. Locri 1909.

La passione per il calcio si tramanda da padre in figlio a prescindere dalla categoria ed il movimento Ultras qui ha sempre sostenuto i propri colori in tutta Italia.

Le retrocessioni nelle categorie minori non hanno intaccato il seguito alla squadra con tanto di invidia dai campi vuoti che si vedono in categorie superiori.

Vivere il calcio oggi a Locri, è come viverlo nel passato. La piazza è frizzante e la Curva è sempre calda a sostegno dei propri colori. La serie D è la categoria più alta in cui ha giocato durante la sua secolare storia e noi soliti ultras siamo pronti a seguirlo ovunque, scrivendo in parallelo la Nostra Storia.

Passano presidenti, giocatori e staff tecnici ma l’amore è incondizionato alla maglia del Locri.

AC Locri 1909  – Mai stati in C…purtroppo!

Per molti, gli Ultras sono la parte malata del calcio, loro invece sono convinti di essere l’ultima cosa vera che del calcio è rimasta: pura passione senza interesse, se non l’amore per la propria città!

Questi ragazzi sono l’anima dell’AC Locri e senza di loro il Locri non sarebbe nulla di tutto quello che è! Tanto da essere addirittura un modello per altre tifoserie regionali che militano in categorie superiori.

Insomma, se non si è ancora capito, qui è dovere di tutti portare avanti il nome del Locri senza alcuna logica di business.

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