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Capitan Zanetti: di Nero e di Azzurro

Javier Zanetti è argentino, anzi bonairense purosangue.
Come tanti suoi connazionali ha saputo esprimere la grande capacità di creare entusiasmo dentro uno stadio, di accendere la folla.

Eppure, se ci pensiamo un attimo, non c’è in Zanetti nessuna abilità tecnica degna di un 10 argentino ma ugualmente ha avuto la forza di incidere come pochi nella storia del calcio della Milano Nerazzurra.
L’iconica immagine di Zanetti che esce dalla difesa portando palla al piede è l’immagine di un uomo che sa da dove viene e con forza difende ciò che ha!
Quella di Zanetti all’Inter è la storia di una bellissima carriera a difesa della sola maglia che lui ha amato veramente.
E, solo quando tutto finisce, alzando gli occhi si rende conto di aver conquistato il cuore della gente vestita di Nero e di Azzurro.

Il Gauchito Gil

Nella cultura popolare argentina è molto forte il culto pagano di Antonio Gil, che come tutti gli argentini ha un suo soprannome: il Gauchito che ne identifica le sue umili origini.
Drappi rossi e statue rievocative ne sublimino il culto con santuari arrangiati a bordo strada da nord a sud di tutto il paese a protezione dei viandanti. Al mercato accanto alla statua della Madonna o di Gesù, nel Paese più cattolico del mondo ti vendono anche quella del Gauchito Gil.

La leggenda racconta il Gauchito come un brigante buono, amato e protetto dal popolo, poiché rappresentazione dell’arte di arrangiarsi e di brigantare (se possibile) a fin di bene. Una sorta di Robin Hood in salsa argentina, capace di fare breccia nei cuori della sua gente tanto da essere venerato come si fa con i santi o i beati.

Del Gauchito gli argentini non ne venerano le gesta ma sono stregati dai nobili valori che ne hanno caratterizzato la vita.

Allo stesso modo, di Javier Zanetti non si hanno ricordi di particolari gesta tecniche, e probabilmente non era l’uomo mediatico della domenica eppure oggi, a carriera finita, tutti ne venerano la classe mostrata dentro e fuori dal campo: dove finiva il calciatore iniziava l’uomo e la gente ha bisogno di questi idoli. Proprio come il Gauchito, anche Zanetti oggi è idolatrato per i valori che ha saputo esprimere durante il suo percorso professionale. Ai limiti della noia ma impeccabile nella lunga carriera sempre ad altissimi livelli.

 

Fino alla fine della sua carriera, Pupi Zanetti, ha dimostrato la sua qualità più importante: la volontà costante di arrivare a qualsiasi obiettivo.
Il segreto della sua longevità a così alti livelli è stato il perfetto equilibrio tra corpo e mente: a 40 anni suonati aveva un’età anagrafica che non corrispondeva a quella del suo corpo abbinata ad una capacità di trovare ancora entusiasmo nella routine che cadenza la vita del calciatore professionista fatta di fatica e sacrifici.

E’ il 28 Aprile 2013, l’inter è di scena a Palermo dove pronti via si ritrova subito sotto di un gol. Al 15mo minuto c’è uno scontro, tra Aronica ed il capitano dell’Inter Javier Zanetti. Subito questi si rivolge alla panchina chiedendo il cambio e sembra ovvio che l’infortunio sia grave. La diagnosi è impietosa: rottura del tendine d’achille.
Zanetti quel giorno ha 39 anni di cui 23 di carriera agonistica alle spalle e 19 di questi immolati alla sua Inter.

Molti quel giorno hanno pensato che fosse la fine di tutto. Mentre lui si ripromette di giocare almeno una partita, fosse solo per poter salutare e dire addio alla sua gente. Con la fascia ancora al braccio. Glie lo deve al popolo nerazzurro che lo ha visto conquistare 18 titoli in più di 1100 partite giocate: “Non permetterò che l’ultima immagine di me su un campo di calcio sia su una barella” dice qualche giorno dopo mentre esce sorridente dalla sala operatoria.
Anche l’Inter lo sostiene, rinnovando il contratto di un altro anno e regalandogli così a 40 anni un momento indimenticabile in una partita contro il Livorno in cui fa il suo rientro tuffandosi nell’affetto dei suoi tifosi.

L’eredità di Capitan Zanetti ci lascia un giocatore che ha timbrato più presenze nella storia dell’Inter (858), ma anche il record di presenze con la nazionale Argentina (145) ed è anche lo straniero con più presenze nella storia della nostra Serie A (615). 6 Campionati di fila senza saltare MAI una domenica!

UNO STRANIERO AL MEAZZA

La storia d’amore tra l’Inter e Javier Zanetti non è iniziata però con un colpo di fulmine.
Quando arriva a Milano nel maggio del 1995, l’argentino non era una né una stella consacrata né un calciatore speciale, perciò il trasferimento si completa nel relativo silenzio mediatico e senza entusiasmi collettivi.

Nel giorno della presentazione al Meazza davanti ai tifosi, la star è Rambert: soffiato sul mercato alla concorrenza e fresco vincitore del titolo di capocannoniere in patria. Quel giorno l’Inter ha presentato Rambert e “un altro” argentino etichettato dai media come un movimento di mercato rischioso visto che sono gli anni in cui si possono schierare 3 giocatori stranieri. Oltre i 2 argentini in squadra ci sono Paul Ince e Roberto Carlos. Oggi sappiamo come è finita: con lo sconosciuto Zanetti titolare ed il quarto straniero di lusso Rambert in prestito esiliato al Saragozza.

Il ragazzo si farà anche se ha le spalle strette

Sognava di essere Diego, di dribblare tutta la difesa avversaria, di saltare il portiere e segnare per poi raccogliere l’abbraccio e l’urlo della folla.
Era il sogno di un Zanetti bambino, che di Diego non aveva né il talento naturale né i piedi e che anzi a 15 anni si trova tagliato fuori dalle squadre giovanili della sua squadra del cuore.
Per un bambino nato ad Avellaneda, figlio di un fornaio e con il pallone sempre attaccato ai piedi c’è un solo sogno: giocare per i rossi dell’Independiente.

Da ragazzino aveva già una buona tecnica di possesso palla ma era gracilino e dal fisico non tanto sviluppato, per questo motivo quelli dell’Independiente gli danno una grossa tristezza decidendo di non puntare su di lui. Oggi è curioso sapere che proprio Zanetti sia stato scartato per il fisico, lo stesso fisico che gli avrebbe permesso anni dopo di essere unico e longevo.

In quel periodo la sua famiglia è stata brava a non lasciare che un “no” si trasformasse in un problema mentale per il ragazzo, tanto che dopo poche settimane stava già giocando e formandosi nei Talleres, in terza serie, dove in due anni arriva a debuttare in prima squadra. Passa successivamente al Banfield, dove gli affibbiano il soprannome Pupi, e vive un’esplosione vertiginosa che lo porta a debuttare nel campionato di prima divisione.

Eppure Zanetti fino a quel momento è ignorato da tutti, comprese anche le selezioni nazionali giovanili, almeno fino al 1995 e precisamente alla vigilia dei Giochi Panamericani dove l’albiceleste è obbligata a selezionare solo under 23 e Javier vi si ritrova quasi per caso.
Quel gruppo oggi è ricordato più che per la sua vittoria finale, per essere stato la base della Nazionale Argentina ai mondiali del 1998 annoverando infatti oltre a Zanetti anche Ortega, Gallardo, Ayala e Crespo. In mezzo a questa gente c’era un giovane di belle speranze un certo Sebastian Rambert, attaccante su cui l’inter di Massimo Moratti aveva messo gli occhi e bruciato la concorrenza per accaparrarsi colui che ai postumi è uno dei tanti bidoni passati dalla serie A.

Moratti vede per la prima volta Zanetti in un VHS che gli mandano dall’argentina. E’ una partita di quel torneo in cui il presidente vede il terzino fare una prestazione sopra le righe ed ordina ai suoi di portarlo a Milano insieme all’attaccante.

Le Incertezze e le prime vittorie

Deve aspettare il 1998 per conquistare il suo primo trofeo con i nerazzurri vincendo la Coppa Uefa.
Nei 10 anni successivi la squadra rimane però senza successi anche se da Milano passano grandi giocatori come Vieri, Ronaldo e Baggio.

La mancanza di titoli contribuisce a minare le sue certezze mettendolo davanti a mille interrogativi sul futuro. Zanetti si è infatti nel frattempo consacrato al mondo come pilastro della nazionale Argentina oltre che come uno dei migliori interpreti del suo ruolo e si rende conto che, sportivamente parlando, merita di arrivare in alto nei palcoscenici internazionali.

E’ alla fine della difficile Stagione 1999/2000 che la mancanza di titoli ed i relativi rimpianti per i continui fallimenti portano Zanetti davvero ad un passo per firmare con il Real Madrid: solo l’intervento personale di Moratti che gli dice apertamente di non volerlo far andare via perché l’Inter è casa sua, sancisce un rapporto che da quel momento in poi diventerà inattaccabile anche in virtù delle vittorie che attendono l’Inter negli anni a venire.
Alza solo virtualmente il suo primo scudetto, quello della stagione 2005/2006, assegnato all’Inter come effetto del caso Calciopoli, per poi vincere quello dell’anno successivo sul campo con il record di 97 punti e con Mancini allenatore.

Il ciclista italiano Eros Capecchi corre con la fascia da capitano indossata da Pupi. “È il mio idolo. Lo ammiro perché è un grande campione ma anche un esempio come atleta”.

L’INTER DI MOURINHO

Probabilmente Josè Mourinho è stato il modo più intelligente trovato da Moratti per gestire uno spogliatoio che vantava una rosa molto forte ma che (con Mancini) non era riuscita a trovare quella stabilità mentale ideale per vincere anche in Europa.

Lo Special One ha avuto il merito di lavorare sulla testa del gruppo trattando i singoli tutti allo stesso modo e riuscendo a creare una squadra in grado di fare il salto di qualità per ottenere cose importanti. Lo stesso Zanetti ha etichettato Mourinho come un vincente; un allenatore leale che ti parla in faccia e ti dimostra poi con i fatti le parole che usa per convincerti di cosa puoi arrivare a fare.

C’è un giorno che nessuno dei giocatori dell’Inter dimenticherà mai: il 4 novembre 2009 si gioca l’ultima partita della fase a gironi di Champions giocata a Kiev dove la squadra nerazzurra è obbligata a vincere per passare il turno. Un gol di Shevchenko sta virtualmente eliminando l’Inter che chiude in svantaggio il primo tempo. Si saprà successivamente che, Mourinho, parlando alla squadra nello spogliatoio dice a i suoi «Ragazzi, dobbiamo rischiare. Con questo risultato siamo fuori. Ci salutiamo. Ho intenzione di rischiare perciò tolgo due difensori e metto due attaccanti. Dobbiamo vincere la partita».

L’Inter ha finito per ribaltare il risultato vincendo 2-1 ed il capitano racconta di come fosse convinto che la capacità psicologica del tecnico fosse un pilastro importante per costruire la mentalità vittoriosa di quel gruppo.

Sempre nell’anno del Triplete, un giorno Mourinho ha buttato Zanetti fuori dall’allenamento costringendolo a prendersi due giorni di riposo dopo che aveva raggiunto 147 partite giocate consecutivamente.

Zanetti ha sempre detto che il tecnico portoghese gli ha fatto conoscere un nuovo modo per raggiungere il successo: un nuovo modo di intendere il calcio a partire dai metodi di allenamento.
Del resto Mourinho gli ha donato il privilegio, da capitano, di alzare la Coppa dalle Grandi Orecchie. Un indimenticabile sabato sera a Madrid nel palcoscenico del Bernabéu: Milito affonda il Bayern Monaco e l’inter torna in cima all’Europa del calcio.

Quella sera Zanetti gioca la partita numero 700 con la maglia nerazzurra ed ha alzato la Coppa da tifoso interista definendo quella immagine come il massimo della sua carriera, lui che all’Inter ha dedicato tutta la sua vista calcistica. In quei minuti il capitano è il simbolo di una squadra che ha recuperato l’onore perduto ed il prestigio dimenticato dopo 45 anni di attesa.

L’UFFICIO NEL PRATO

Il trionfo europeo non ha avuto una transizione facile. Con la partenza di Mourinho, svaniscono anche l’essenza e l’aristocrazia recuperate dal Brand Inter nel mondo del calcio.
La società è infatti incapace di competere finanziariamente con i grandi club continentali. Molti dei calciatori che hanno sollevato la Coppa dei Campioni in pochi mesi sono andati via e l’Inter ha ricominciato a collezionare allenatori tanto da far recuperare a Zanetti la sua vecchia reputazione di controverso “allenatore ombra”.

In quella ruota che non gira con la cadenza necessaria che assicura tranquillità ed equilibrio, Zanetti rimane comunque in prima linea come solo i capitani veri sanno fare. Benchè l’Inter perda credibilità e potere calcistico sia a livello europeo che nella stessa Serie A il capitano non si scompone davanti alle difficoltà.

Anche nel passaggio di proprietà da Moratti a Thohir, Zanetti si è conquistato sul campo il rispetto del nuovo presidente e dopo il grave infortunio al tendine d’achille il suo futuro dietro la scrivania era solo una formalità considerando il fatto che fosse un simbolo ed una bandiera del club.

Si è abituato a lasciare il pantaloncino a casa, sostituendolo con una divisa in giacca e cravatta ed è sempre lì, leader silenzioso come se preferisse i fatti alle parole anche da Manager. In questa nuova vita professionale, vedendolo da fuori, sembra il solito Zanetti dedito al lavoro e con l’umiltà di imparare ogni giorno avendo passione per quello che fa, perchè adesso tocca fare altro…

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