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C’era la grandezza nel lento movimento di Riquelme

ROMAN EL NUEVO DIEGO?

Riquelme non è mai somigliato a Maradona. I loro stili, sebbene entrambi innegabilmente efficaci, sono stati diversi.
Diversi i personaggi, con anche un modo diverso di portare la 10 sulle spalle. L’unico punto in comune: la velocità mentale di pensare calcio ancor prima di coltivare le doti fisiche.
Riquelme, è stato tanto adorato sia da coloro che lo circondavano in campo quanto da quelli che lo guardavano dagli spalti. Non c’è distinzione tra compagni o avversari davanti al lento movimento dell’ultimo 10 argentino, siamo stati tutti spettatori.

Ci sono uomini troppo perfetti, tanto da essere fraintesi perché di fatto appartengono ad un ambiente superiore. Laddove tutti vedevano un semplice passaggio, Roman nella sua testa dipingeva trame di gioco semplici solo per lui.
Con il ritiro, dopo aver segnato 48 gol in 187 partite nella sua seconda esperienza al Boca, Riquelme è diventato l’idolo indiscusso della tifoseria azul y oro proprio per aver accettato di raccogliere quell’eredità di ultimo 10. Ovvero l’ultima espressione di arte classica del fantasista argentino.

Roman ha giocato a calcio per esaltarne la sua bellezza come sport. Ha giocato per rendere il terreno di gioco un posto migliore per chi lo circondava. E se la grandezza di un calciatore si misura solo in trofei allora è magro il bottino di Roman. Ma una cosa è certa: c’era la grandezza nei suoi piedi. Rimane il ricordo di un genio che aveva nel pallone il miglior giocattolo che potesse desiderare per rendere felice se stesso ma soprattutto tutti gli altri.

Un giocatore che, con le sue letture delle partite costruisce un piano, una strategia per superare l’avversario.
Lo stratega che si assume il rischio e la responsabilità di incidere sulle sorti di una partita .
Si diverte con la palla fino a quando non trova uno spazio tra le linee ed improvvisamente porta un compagno di squadra di fronte al portiere rivale. E’ il compito più difficile: giocare per far giocare gli altri.

[vedere ciò che gli altri non possono immaginare]

ELOGIO DELLA LENTEZZA

Il nostro tempo è dominato dal concetto di velocità ed urgenza. Sul lavoro, in famiglia, ed in qualunque ambito personale o professionale non c’è tempo da perdere. Anche i film non possono essere lenti. Anche il calcio oggi va di corsa: con schemi e tattiche ideati per raggiungere l’offensiva nel minor tempo possibile, Come se la velocità fosse un requisito per comprendere o valutare un’opera d’arte.
L’idea del fermo, di ciò che si è fermato, è un concetto assurdo in tutti gli ambiti del mondo moderno. In questo contesto un giocatore come Riquelme è perciò controculturale . Affascina.

Per Roman il ritardo dava valore al suo possesso palla, senza il bisogno di correre più del suo rivale.
Soprattutto negli ultimi anni di carriera ha sfruttato maggiormente la sua lentezza per esaltare la sua tecnica, la sua strategia, la sua facilità di pensiero. Con un solo tocco ha fatto quello che gli altri giocatori, molto velocemente, hanno fatto con cinque o sei tocchi. E la velocità non è nel fisico. A volte la velocità è prevedere l’azione prima di impostarla o disegnare un assist, e Roman lo faceva con incredibile facilità. Dare il senso di rallentare il gioco quando invece la mente lo rende più veloce.

Questa sua caratteristica, appunto la lentezza, è stata una straordinaria gestione del tempo che dà l’idea di come invece avesse una completa comprensione del gioco del calcio. Riquelme è stato un rituale di passaggi tra quiete e movimento, tra difficoltà ed attesa del momento conveniente alle sue giocate per determinare il senso di un match.
E’ stato la capacità di fermare il tempo, di congelarlo ogni volta che la dinamica della partita che leggeva nella sua mente lo richiedeva. Non ha mai avuto fretta se non quando doveva sbrigarsi.

L’EUROPA A META’

Johan Cruyff ha scritto che il calcio è una cosa semplice e che fondamentalmente consiste nel saper controllare la palla prima di passarla ad un compagno di squadra.

I ritmi del calcio argentino sono stati l’habitat naturale per un calciatore pensante come Roman. Tradizionalmente il calcio sudamericano premia chi sa rallentare il gioco per poi imprimere una visione più ampia delle giocate. E’ in questo contesto che Riquelme si consacra agli occhi del mondo come un crack assoluto.

Dopo aver brillato nel Boca regalando alla sua gente due coppe Libertadores e una Intercontinentale, nel 2002 Riquelme sbarca in Europa per vivere due vite completamente diverse: Barcellona e Villarreal. E se la stagione in Blaugrana è l’espressione di come un calciatore con le sue caratteristiche non deve rimanere imbrigliato nelle rigidità degli schemi, i 3 anni al Villarreal sono invece un inno alla lentezza intelligente tanto da farlo passare alla storia come il giocatore più importante del club.

Il giorno in cui il Villarreal ha giocato, per la prima volta nella sua storia, una semifinale di Champions, lo Stadio della Ceramica era gremito di giovani e adulti che sugli spalti non smettevano di piangere. Un giorno reso possibile solo dall’impatto che Riquelme ha avuto nell’economia del gioco di quella squadra grazie anche alle intuizioni di Manuel Pellegrini, allenatore in grado di capire le sue caratteristiche e valorizzarle svincolandolo da una posizione fissa: “Palla a Roman, poi ci pensa lui”

[stiamo cercando di spiegare qualcosa del genere]

IDOLO MAXIMO DEL BOCA

Yo naci bostero y me voy a morir bostero como mi viejo, mi abuelo, mis hijos y como Román!

“io giocavo per dare gioia ai tifosi del Boca. Sono Bostero come loro e morirò Bostero come loro”

Tutto ebbe inizio ai tempi di Mauricio Macri, all’epoca negli anni ‘90 presidente Xeneize , quando il Boca, pesca il talentuoso Riquelme nelle divisioni inferiori.

10 novembre 1996. Quel giorno ha calpestato l’erba de La Bombonera per la prima volta, arrivando nel luogo che sarebbe stato la sua casa per il resto della sua vita.
Ha sempre affermato di aver ricevuto dal Boca più di quanto lui pensasse di meritarsi. Ma è soprattutto l’amore incondizionato della sua gente che non ha eguali. Probabilmente Roman è amato e venerato più di quell’altro 10 che ha vestito la magia del Boca Juniors, il Diego.
D’altronde è lui l’uomo che ha regalato alla sua gente la gioia di 3 coppe Libertadores, 5 titoli nazionali, una coppa Intercontinentale! Va bene le vittorie ma è soprattutto l’amore e la passione che Roman ha manifestato al club ed ai tifosi: lui che si è definito uno di loro. Il 25 gennaio 2015, dopo il suo ritiro dal calcio giocato i suoi piedi sono diventati una leggenda.
Roman è una religione per la curva del Boca. Il suo nome viene sempre esaltato ed accompagnato da emozioni e lacrime e le sue gesta sono miracoli per questa gente. Parlano del loro idolo al presente, come se fosse ancora lì sul campo di gioco a lottare con loro malgrado siano passati tanti anni ormai dalla sua ultima partita alla Bombonera. Del resto l’Arte non ha tempo, anzi rimane lì a futura memoria per chi verrà dopo Roman a raccoglierne, se possibile l’eredità.

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