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Solo oggi ci accorgiamo che Zubizarreta ha saputo resistere

Gli idoli sono tali poiché con gelosia e fanatismo ognuno di noi si costruisce il proprio attribuendogli dei poteri divini. L’idolo diventa poi oggetto di culto: un principio di amore indiscusso e di credo assoluto tanto pregiudizievole da impedire la conoscenza della verità oggettiva al di là della nostra. A questo punto l’idolo è stato divinizzato.

Secondo questa personale costruzione e definizione del giocatore di culto, direi che a Messi e Cristiano Ronaldo rimane il ruolo da idoli da divano, di quelli che ti ritrovi nel soggiorno di casa senza che tu li abbia ricercati o costruiti. Loro sono calciatori eccezionali resi miti dalla loro classe e dagli sponsor ma oltre a questo il calcio è anche qualcos’altro.
Il giocatore di culto te lo devi invece costruire, immaginare, andandolo a scovare nelle sconfitte dolorose, nei vizi così come nel genio e nella sgregolatezza che solo i personaggi sportivi sanno avere. I veri idoli li trovi nelle pagine pesanti degli album di figurine che hai conservato e ciclicamente riguardi: nello sport, così come nella vita, le cose veramente importanti le trovi negli angoli meno illuminati, laddove si annidano le ragnatele…insomma negli anni 90.

E’ in quel crepuscolo che ho conosciuto Andoni Zubizarreta. C’era un gioco ricorrente “la tedesca”, da giocare da bambino con gli amici e dove io stavo in porta e ad ogni giro fantasticavo di essere uno dei più forti (?) portieri dell’epoca. Troppo facile Zenga, più affascinanti i Ferron, i Cervone o gli esteri appunto più sconosciuti e perciò più romanzabili (se esiste la parola).

“Questa volta sarò Zubizarreta, che è il miglior portiere di Spagna” ho ripetuto quando qualcuno ha insistito sul fatto che nel mio prossimo turno toccava essere Pagliuca. Avevo visto il portierone per la prima volta ai Mondiali Nostrani di Italia ‘90, mi sembrava così grande, così serio, così sicuro ed affidabile tra i pali.

Nel ’92 i portieri hanno vissuto sulla loro pelle il passaggio dall’era in cui potevano raccogliere con le mani un passaggio all’indietro di un proprio compagno diversamente dal calcio moderno dove questo fondamentale non è più in vigore. Fu voluta per impedire un vantaggio alle difese, sostituendola con l’attuale controllo obbligatorio con i piedi e che fa la fortuna dei moderni interpreti del ruolo come Neuer o Courtois.

“Sono contrario alla regola perché limita il portiere: al Barça utilizziamo il passaggio al portiere come arma offensiva e non per perdere tempo. Passo la palla nel lungo o nel breve, ma è un modo per iniziare il gioco. Non abbiamo ancora vietato a nessuno di usare le mani in altri giochi, il che distingue il portiere dagli altri giocatori “, commentava Zubizarrreta a riguardo nel ’92.

Andoni si è adattato alle nuove regole, ha saputo abbandonare l’ombra dei pali della porta che probabilmente utilizzava come lettura del suo posizionamento per tutta la carriera fino ad allora.

Eppure la nuova regola ha trovato, nel Barcellona di Cruyff, un senso ancora più tangibile rispetto all’idea di gioco che il tecnico olandese stava esportando. Lui che fino a quel momento aveva fatto fatica a giocare con i piedi, trova la calma e la forza per giocare e vincere andando oltre i suoi limiti.
Quello stesso anno il portierone ed il suo Barcellona vincono la Coppa dei Campioni (nella finale contro la Samp di Vialli e Mancini) e farà in tempo a giocare un’altra finale nel 1994 finita male contro il Milan di Capello e dove il terzo gol in pallonetto di Savicevic mette in evidenza un errore di posizione del portiere stesso.

A Barcellona vince molto e forse viene scaricato troppo presto dopo quel mondiale di USA 94, dove la Spagna la mettiamo fuori noi. Il portiere basco vanta infatti anche 4 titoli nazionali vinti consecutivamente da 91 al 94. Ma quello che  il Barcellona ha avuto in porta dopo di lui è il nulla se non una lista di nomi per i più nostalgici ma nessun vero leader carismatico: Angoy, Rustu, Bonano, Arnau, Dutruel, Reina, Vitor Baia fino a Victor Valdés forse l’unico dopo di lui a sostituirlo degnamente molto tempo dopo.

La nazionale spagnola quando non era quella di oggi e non vinceva mai, mi ha permesso di amare Zubizarreta e dimenticare Pagliuca che giocava come avrei voluto giocare anche io. Ho indossato tante maglie in quei pomeriggi dei primi anni ’90, fantasticando di essere Kahn, Nkono e Taffarel ma Zubizarreta a differenza degli altri mi è rimasto in quell’angolo della memoria e del cuore

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