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Calcio Cultura & Calcio Argentino

Undici Metri di Sfumature: storia emotiva di un calcio di rigore.

Undici metri, è la distanza che separa gloria e disperazione. Una vita: è la vita di quelli che hanno fallito, segnato o che non ci hanno neanche provato.
E’ un duello con la propria psicologia: mistica consapevolezza di dover gestire il proprio destino, controllare il battito del cuore e prendere una decisione.
Quel momento, che precede la battuta di un calcio di rigore, rende più terreno qualsiasi campione.

Proprio come racconta Osvaldo Soriano, tocca pensare con i piedi: una romantica metafora calcistica per capire quanto può essere lungo quell’attimo. E non c’entra quale nome porti dietro la maglia perché, chiunque tu sia, in quella lenta attesa il pensiero ti porta a vedere oltre il confine del campo di gioco. Il Poeta Argentino ha descritto il rigore più lungo del mondo, durato addirittura una settimana, dandone un senso di tristezza e di solitudine che si concluderà con l’eleganza di un gesto tecnico. Quale migliore descrizione per descrivere la psicologia di un calcio di rigore.
E se il racconto di Soriano è pura fantasia, sappiamo invece come la realtà nel fare il suo corso riesce a sorprendere anche chi la inventa. Di tante storie (vere) che si potrebbero raccontare ne prendo due che si sono impresse nella mia mente con tutto il loro impatto emozionale. Storie diverse per contesti e motivi, ma entrambe uniche.

IL GRAN RIFIUTO DI BAGGIO

Roberto Baggio all’ombra del Campanile di Santa Maria del Fiore in Firenze, è stato adorato, elogiato ed esaltato.
E’ un campione che nel calcio ha segnato un’epoca, infatti Roby era diverso da tutto ciò che si era visto prima: nelle stagioni vissute con la Fiorentina è riuscito a mettere in mostra tutto il suo talento arrivando ad essere l’idolo di tutti anche negli anni a venire. Dopo l’exploit del mondiale italiano del 1990, Baggio lascia la sua Fiorentina dicendo addio a quella gente che gli ha voluto bene. E’ stato ceduto alla Juventus e questo ha portato il caos in città.

I tifosi viola d’un tratto si sentono traditi, ingannati da chi li ha fatti sognare e, ancora peggio, gli giurava amore eterno per poi vederlo invece addirittura indossare la maglia dello storico rivale. I tifosi però non potevano all’epoca sapere che la stessa Fiorentina lavorava in silenzio per sbloccare la cessione: un’offerta vertiginosa e le urgenze economiche della società viola costrinsero Baggio a vestirsi di Bianconero.

E’ una piccola apocalisse per l’onore del tifoso fiorentino e soprattutto non è, almeno in quel momento, volontà del calciatore andare via da Firenze.

Il 6 aprile 1991 lo stadio Franchi si preparava ad essere il teatro dell’atto finale di quella storia, ospitando il ritorno del vecchio idolo, ora condannato come un “traditore” del popolo viola. Baggio ha l’atteggiamento del corpo tipico di chi vuole mostrare una calma apparente quando è invece evidente di essere un uomo condizionato dalla particolare situazione ambientale ed emotiva che sta vivendo. E’ nervoso ed ogni volta che tocca palla le sue orecchie scoppiano per i fischi che gli piovono addosso. Quel pomeriggio il cuore di Baggio è ferito tanto da condizionarne il rendimento in campo ed il guerriero scompare per far posto a una stella sminuita.

Ogni palla che cade ai suoi piedi è carica di piombo. In questo clima di odio che si respira verso Baggio, Fuser trova il colpo per portare in vantaggio la Fiorentina che chiude 1-0 il primo tempo.
Quel giorno la Juve si gioca le ultime possibilità di restare in lotta per il titolo e non può permettersi un passo falso. Nel secondo tempo la squadra reagisce e mentre Baggio vive la sua personalissima battaglia interiore, quasi d’istinto si trova in area avversaria dove, ostacolato da un difensore, riesce a procurarsi un (dubbio) calcio di rigore con a questo punto gli Ultras Viola che si accendono di ulteriore rabbia.

Come in un lento racconto di Osvaldo Soriano la palla viene piazzata sul punto di battuta ma nessuno si avvicina.
E’ chiaro che toccherebbe al 10.
Ma Baggio non si muove, non se la sente di calciare e lo spiega ai compagni. Va allora De Agostini che tira ma il portiere para.

il momento in cui Baggio e Schillaci parlano prima del rigore e lo stesso 10 conferma la volontà di NON calciarlo.

Di lì a poco, l’allenatore juventino Maifredi, decide di porre fine alla prova evanescente del giovane Baggio. Nell’uscire cammina sconfitto sotto la tribuna mentre visibilmente emozionato gli insulti e le grida lo accoltellano ancora una volta. Qualcuno dalla folla gli tira una sciarpa della Fiorentina. Baggio a quel punto è però incapace di continuare a far finta di nulla ed affronta la situazione, tradendo l’emozione raccoglie quella sciarpa stringendola con la forza che si usa con le cose a cui si vuole bene. Un gesto istintivo che spiega quello che a parole non gli avevano mai permesso di esprimere: il sincero amore verso Firenze e la sua gente.

In seguito dirà apertamente “Non avrei mai voluto segnare quel rigore”

il momento in cui Baggio ha raccolto la sciarpa viola lanciata dalla tribuna stringendola nella mano destra

TUTTO IN UNA NOTTE: I TRE RIGORI FALLITI DA MARTIN PALERMO

La sicurezza ostentata da chi si incarica di calciare un rigore è vitale per garantire che l’azione finisca in gol. Certo ci vuole abilità tecnica, ma soprattutto, sentimenti e testa devono essere in perfetto equilibrio.
È difficile fermare il colpo di uno specialista. Sa che le sue possibilità di segnare sono alte, perciò si avvicina alla palla sempre con la convinzione che quella finirà in rete; ha deciso in anticipo il lato ed il tipo di colpo, e ci sono pochissime possibilità che la palla si schianti contro il palo o si perda tra le nuvole. Naturalmente, quando ciò accade, la presunta sicurezza dello specialista scompare. Almeno per pochi minuti.

Quante volte abbiamo visto una squadra cambiare rigorista dopo aver sbagliato un rigore nella stessa partita? È impossibile che in pochi minuti un calciatore perda la sua classe, ma la storia che sto per raccontare illustra perfettamente la confusione mentale che un giocatore può subire quando sbaglia un rigore. Si perché puoi averne segnati molti durante la tua carriera, o persino essere uno dei migliori specialisti al mondo, ma quando sbagli dagli undici metri, i fantasmi sono inevitabili e nel 1999 Martín Palermo supera qualsiasi confine di coraggio e rischio. L’argentino è passato alla storia per aver sbagliato 3 rigori consecutivi nella stessa partita: quasi impossibile trovare un caso simile, e la mancanza di prudenza insieme al suo eccesso di ego dopo il primo errore, lo hanno portato a vivere la sua notte più triste.

Si sta giocando in Paraguay la fase finale della Coppa America e quella sera si gioca Argentina-Colombia. In quel periodo Martin Palermo è l’astro nascente del Boca ed aveva iniziato col botto la rassegna sudamericana timbrando una doppietta nelle prima partita contro l’Ecuador. Quella è l’ Albiceleste di Marcelo Bielsa che si è dimesso da allenatore dell’Espanyol proprio per realizzare il suo sogno di guidare la nazionale del suo paese. La partita finirà 3-0 per la Colombia ma Martín Palermo, con i suoi tre rigori falliti, fu la grande vittima dell’incontro.  Pubblicamente Bielsa ha sempre difeso Palermo per quella notte anche se si vocifera che a fine partita in privato gli diede dell’idiota e nei fatti, per tutta la sua gestione, non lo ha più convocato.

Ma passiamo ai fatti

ERRORE NR. 1
Minuto 5’ – Risultato 0-0 – Traversa –
Pronti via c’è un fallo di mano in area colombiana e l’arbitro non ha dubbi. Rigore per l’argentina: Palermo arriva con la sua inconfondibile chioma colorata e desideroso di far esplodere la palla. Il tiro è si preciso e sicuro ma prende un effetto strano e sbatte sulla traversa prima di essere raccolto dal portiere. Il numero 9 argentino non si scompone perché sa che la partita è lunga ed avrà altre opportunità per rifarsi (non può ancora immaginare quanto accadrà).

Errore NR. 2
Minuto 76’ – Risultato 0-1 – Tiro Fuori –
A15 minuti dalla fine della partita l’argentina è sotto di un gol. L’attaccante del Boca riesce a procurarsi un rigore (inesistente). Malgrado l’errore precedente, la sua personalità da vincente gli impedisce di farsi da parte davanti alla possibilità di prendersi la sua vendetta e pareggiare i conti. Palermo tira forte, con un movimento meno fluido rispetto al primo tentativo e questa volta la palla non tocca nemmeno il palo. La sensazione è di rassegnazione ed impotenza…

Errore NR. 3
Minuto 90’ – Risultato 0-3 – Parato –
Il tempo regolamentare è già scaduto e la Colombia sul 3-0 aspetta solo il fischio dell’arbitro. Lo stesso Palermo aspetta soltanto di concludere la sua notte più nera quando un inutile fallo di Cordoba in area di rigore gli concede una terza, ed altrettanto inutile, possibilità di trasformazione. Ignaro della paura, o forse mosso dall’incoscienza o dalla rabbia del momento, decide infatti di assumersi lui la responsabilità del penalty. Tutta l’America Latina assiste a qualcosa di irripetibile: sbagliare 3 rigori nella stessa partita: Miguel Calero, anonimo portiere, indovina la traiettoria fermando la palla.

Fortunatamente Martin Palermo è stato un giocatore capace di tutto, nel bene e nel male. Ha vissuto tante serate fatte di gloria arrivando anche in cima al mondo vincendo da protagonista una Coppa Intercontinentale contro il Real Madrid e fortunatamente oggi non leghiamo il suo nome a quella triste notte di Asuncion.

Ma se dovessi dirvi quale è l’immagine di un rigore che ancora mi emoziona come un bambino sicuramente questa qui ha il suo perchè:

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