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Mito e Leggenda dei Mondiali di Calcio in Patagonia del 1942

Il Mondiale del 1942 non figura in nessun libro di storia, ma si giocò nella Patagonia Argentina senza sponsor, nè giornalisti

Così scrive Osvaldo Soriano, scrittore protagonista della letteratura argentina del secolo scorso che ha sempre messo il calcio al centro del suo stile narrativo. Lui cita il Mondiale in Patagonia nella raccolta: “Pensare con i Piedi” dove trova spazio un racconto, dall’umore malinconico, lasciatogli in eredità da un suo zio che a quanto pare fu testimone dei fatti di cui narra.

Oggi, quando ci si addentra nel mito del Mondiale del 1942 tutti si basano e partono dal racconto di Soriano; tutti devono usare la fantasia per colmare le lacune storiche impossibili da documentare.

La stessa fantasia narrativa che userò io, trattando però tutte le fonti disponibili come se fossero reali (anche quelle false), nel tentativo di costruire e riscoprire questa storia che ha decisamente dell’incredibile.

La vicenda di Katsuro Matsuda

Partiamo dal 2012, esattamente dal Giappone, quando Katsuro Matsuda è un perfetto sconosciuto che partecipa come concorrente ad un programma televisivo (The Shogun Treasure) che è la versione giapponese del nostro “Chi vuol essere milionario”.

Matsuda diventa uno dei pochi concorrenti che risponde correttamente alle dieci domande del quiz, guadagnandosi così il diritto di rispondere all’ultima domanda che vale un pacco di soldi. La domanda da 100.000 yen è questa:

«Dove furono giocati i campionati mondiali di calcio del 1942?». Matsuda risponde sicuro: «In Patagonia».

Purtroppo per lui, la FIFA non ha mai omologato quel Mondiale e la sua risposta, tecnicamente, è sbagliata perdendo così la grande vincita.

Ma Katsuro Matsuda non ci sta, addirittura si incatena per protesta davanti agli studi televisivi, ed è convinto che la sua risposta sia giusta. Lancia un blog e con esso una campagna internazionale, Mundialcause, per portare l’argomento su larga scala nel tentativo di trovare testimonianze del mondiale del 1942 che la FIFA ha censurato.

Ne chiede il riconoscimento formale, ovviamente lo fa per poter così riscuotere i 100.000 yen del quiz.

Matsuda in qualcosa riesce! Quanto meno riesce a stimolare l’opinione pubblica e nascono così petizioni per chiedere alla Fifa che quel mondiale venga ufficialmente riconosciuto. Spendono parole a riguardo anche giornalisti e storici, atleti e dirigenti sportivi.

Addirittura il movimento Survival, che difende da sempre i diritti dei popoli indigeni, diffonde un video per chiedere alla FIFA di assegnare alla Patagonia l’organizzazione di un Mondiale da qui ai prossimi 50 anni.

Calciatori del calibro di Altafini e Baggio intervengono sull’argomento ricordando che in effetti è nota nell’ambiente del calcio professionistico, l’esistenza di un mondiale che si è giocato in Argentina proprio nel 1942.

Gary Lineker, giura addirittura di aver visto, durante un viaggio, una foto di quel mondiale appesa in un locale sperduto nelle praterie selvagge della stessa Patagonia.

Come Cambia la storia dopo la scoperta degli anni 2000

Tutto diventa più credibile con il documentario “Il Mundial Dimenticato” di Lorenzo Garzella. Insieme al collega Filippo Macelloni, il ricercatore italiano alza il livello con contributi di personaggi famosi ma soprattutto indagando dentro la FIFA intervistando l’ex presidente Joao Havelange sull’argomento.

Nel 1942 il mondo è dilaniato dal secondo conflitto mondiale che, tra le sue conseguenze, ha anche quello di azzerare tutte le competizioni calcistiche tra il 1939 ed il 1950. In quel periodo, fa intendere Havelange, si tentò di dare vita ad un Mondiale in Argentina, precisamente nel 1942, prima ufficialmente e poi in maniera totalmente amatoriale visto che gli organi ufficiali della FIFA non lo hanno mai riconosciuto.

La leggenda però vuole che il mondiale si svolse davvero.

Ma il corso della storia cambia drasticamente quando, nei primi anni 2000, vengono ritrovati i resti di un uomo negli scavi archeologici di Villa El Chocon, nella Patagonia Argentina nei pressi di Barda del Medio (provincia di Neuquen) proprio dove, prima della metà del ‘900, ci fu una forte concentrazione di immigrati impegnati nella costruzione di una grande diga.

Quell’uomo era Guillermo Sandrini, ed il suo scheletro è rinvenuto abbracciato alla sua macchina fotografica (una 16mm) con ancora i rullini all’interno. E’ proprio questa la svolta narrativa del Mondiale Dimenticato, infatti in quei rullini sono impressi dei fotogrammi diventati un documento dal valore storico sportivo davvero inestimabile: proprio le immagini del Campionato del Mondo di Calcio giocato in Patagonia nel 1942.

Questa scoperta ha dato nuova luce su uno dei misteri più affascinanti della storia del calcio cui però la FIFA non ha mai dato la giusta risonanza.

Un mistero rimasto tale anche in virtù di una calamità naturale che si è abbattuta sulla Patagonia proprio il giorno della finale. E’ il 19 Dicembre di quell’anno quando un’alluvione provoca il crollo dello stadio i cui resti sono ancora oggi sommersi dall’acqua.

Capire la Patagonia del ’42 per capire il significato di quel mondiale

La Patagonia è sempre lì, lontana migliaia di chilometri da tutto.

Quelle terre sono conosciute come le terre alla fine del mondo. Nel 1942 l’Europa ed il Mondo erano sconvolti dalla guerra scoppiata dal nazismo, eppure, la Patagonia rimaneva così lontana, non solo chilometri ma anche ere culturali, dal resto del mondo soprattutto da quell’Europa dove le bombe cadevano a grappoli, dilaniando popoli e distruggendo confini politici.

Nel deserto patagonico invece, durante gli anni della guerra, la quotidianità era quella degli operai immigrati impegnati in un duro lavoro dal sorgere del sole e fino al tramonto. Qui non c’era spazio per distinzioni di uomini o di razze. Anzi la Patagonia dava rifugio a tanti che scappavano proprio dal conflitto mondiale.

I decenni del primo novecento erano stati infatti gli anni delle grandi migrazioni dall’Europa verso tutto il continente americano e l’Argentina incentivava i flussi con una politica garantista nei confronti degli immigrati stessi.

Operai, minatori, ingegneri, militari e pescatori, esiliati e rivoluzionari in fuga, giunti in America del Sud da ogni parte del mondo. Era questa la gente confinata in Patagonia a metà del 900.

Il Mondiale di Calcio che si è giocato qui, nella sua semplicità, è stato per queste persone una rara forma di sentimento agonistico misto ad identità nazionale. Un tuffo nelle loro radici dimenticate in un Paese che avevano abbandonato.

12 squadre, in rappresentanza di altrettante nazioni, hanno orgogliosamente difeso la loro identità in un torneo fortemente voluto da un certo Vladimir Otz, un aristocratico di origine balcanica, che ebbe la visione di organizzare questa Coppa del Mondo dopo che gli eventi della seconda guerra mondiale avevano fatto saltare ben due edizioni.

È stato il Mondiale del sentimento proprio perché a scendere in campo non sono state le squadre ufficiali ma erano ovviamente squadre amatoriali composte da immigrati.

Come si arriva a pensare al mondiale

Tra gli operai che lavoravano dall’alba al tramonto c’erano anche indiani Mapuche noti per le loro arti dell’illusionismo e della magia, ma soprattutto europei fuggiti dalla guerra. C’erano spagnoli che monopolizzavano i negozi di generi alimentari, italiani di Genova, Calabria e Sicilia, ed anche polacchi, francesi, così come gli inglesi che avevano l’arduo compito di portare in queste terre sperdute le ferrovie di Sua Maestà.

C’erano alcuni guarani del Paraguay ed ovviamente gli argentini che avanzavano verso la lontana Terra del Fuoco in cerca dell’oro. Erano tutti lì e si sentivano al sicuro dal terribile mondo in cui erano nati e da cui erano scappati.

È però nell’ aprile del 42, quando il vento del deserto si era placato, che arrivano inaspettatamente in Patagonia i tedeschi. Sono degli ingegneri elettronici del Terzo Reich arrivati fin là per installare la prima linea telefonica che connetteva i due lati del Pacifico e dell’Atlantico.

Con loro hanno portato: ovviamente una punta del cavo che ha inaugurato l’era delle comunicazioni tra i due mondi; ma anche un pallone di cuoio a valvola. Dopo averlo mostrato all’ammirazione di tutti, hanno sfidato chiunque avesse osato giocare a calcio contro di loro.

Un ingegnere di nome Celedonio Sosa ha accettato la sfida a nome dell’intera nazione Argentina formando una squadra di barboni e ubriaconi delusi dalla ricerca dell’oro nelle cavità delle Ande. L’audacia fu catastrofica però per gli argentini che andarono incontro ad una sonora sconfitta per ben 6 a 1.

Non appena si accorsero della diversità dei paesi e delle razze rappresentate in quell’angolo di terra, i tedeschi lanciarono l’idea di un campionato del mondo per festeggiare l’avvento del telefono ed il loro passaggio civilizzante in quelle terre ai confini del pianeta.

I tedeschi, condivisero l’idea con l’unico nobile presente in quella colonia, proprio il conte Vladimir Otz (a suo modo un visionario) e che alla fine di questa storia è colui che, più di tutti, si prodigò in qualsiasi modo per portare a compimento questi mondiali. Si incaricò personalmente di scrivere alla FIFA per notificare il progetto ma non era riuscito ad ottenere, per motivi burocratici, il riconoscimento ufficiale poiché a quanto pare egli scrisse con poco preavviso rispetto all’inizio del torneo.

Avviata l’idea del Mondiale, il primo problema per gli organizzatori era che gli antifascisti italiani rifiutavano di mettere in gioco il loro status di campioni perché ciò significava soprattutto 2 cose:

1- riconoscere i titoli raggiunti dai professionisti durante il regime di Mussolini e che essi invece, da antifascisti ripudiavano per principio.

2- erano ancor più angosciati dal fatto che non giocare avrebbe voluto dire lasciare ai tedeschi la possibilità di prendersi il loro titolo.

Infatti, le ultime due edizioni dei mondiali, prima che la guerra ne interrompesse la cadenza, quelle del 1934 e del ‘38, erano state vinte dall’Italia ed è per questo motivo che gli operai piemontesi ed emiliani, giunti in Argentina per realizzare la diga di Barda del Medio si sentivano campioni per status quo.

Altri però si sono lasciati sopraffare dai tedeschi, ed il tramonto di quelle giornate diventava l’orario della prossima partita di allenamento: i francesi persero 7-0 mentre una squadra di sacerdoti polacchi insieme a immigrati paraguayani ne prese altri 5 su un campo improvvisato.

Nessuno ricordava le regole del gioco o per quanto tempo si dovesse giocare e nemmeno le dimensioni del campo quindi, l’unica cosa proibita era toccare la palla con le mani o colpire in testa i giocatori caduti a terra. Chiunque avesse il giudizio per giudicare quelle due infrazioni poteva arbitrare.

Il progetto del conte Otz insieme all’appoggio dei tedeschi ed alla serie di partite che via via si giocavano, altro non era che il preludio al torneo.

Il Figlio di Butch Cassidy

Osvaldo Soriano, nel suo racconto, ci scrive dei ricordi del vecchio zio, tale Casimiro, che in quel mondiale dimenticato sembra essere stato ingaggiato come guardalinee di un arbitro che è tutto un programma: William Brett Cassidy. Figlio del pistolero Butch Cassidy scappato dalle praterie del Nord America fino in Patagonia, ed è lui stesso disertore dell’esercito argentino oltre che un fuggiasco dalla giustizia.

La leggenda vuole che si guadagnasse da vivere arbitrando partite in Patagonia, con la pistola al posto del fischietto, perché di calcio sapeva poco ma era veloce con la rivoltella, come suo padre. Fu l’arbitro più importante di quel torneo.

La posizione dell’Italia

C’è stato un momento in cui la posizione di principio degli italiani divenne insostenibile. Come continuare a proclamarsi campioni di una Coppa che non riconoscevano? Come continuare a sopportare le provocazioni degli altri operai che li accusavano di non giocare per paura di essere umiliati sul campo?

Se giocano mettono in discussione i loro ideali antifascisti.
Se non giocano mettono i tedeschi nelle condizioni di vincere facilmente il torneo.

A maggio, quando iniziarono le prime piogge, il caposquadra calabrese Giorgio Casciolo fece notare ai connazionali un piccolo particolare. Con la sabbia bagnata dalla pioggia, il pallone rimbalzava senza una logica e diventava difficile controllarlo. La considerazione di Casciolo era molto semplice: infatti i tedeschi notoriamente abusavano della birra e dunque Casciolo sosteneva che un uomo ubriaco non potesse controllare il rimbalzo incontrollato sulla sabbia.

Malgrado però le condizioni del terreno ed i rimbalzi irregolari, i tedeschi continuavano a giocare le loro “amichevoli internazionali” senza perdere un colpo: 5 a 2 ai paraguayani il risultato di un incontro durato due ore ininterrotte.

L’intuizione di Casciolo si era rivelata come una vana speranza.

A fine maggio i pescatori di Limay, quasi tutti cileni, hanno perso 4-2 perché William Brett Cassidy ha concesso due rigori a favore dei tedeschi per mani commesse molto lontano dalla porta.

L’alcool però diventa a suo modo protagonista di questa storia e succede durante una notte di baldoria nel bordello di Zapala, piccola città di confine nella Patagonia nord-occidentale ed a pochi chilometri dai cantieri dove quella gente lavorava.

Era uno dei pochi posti dove, gli operai, potevano rifugiarsi saltuariamente per concedersi ai piaceri della vita dopo il duro lavoro.

Mentre un ingegnere tedesco cercava di raccogliere alla radio notizie sul fronte russo, l’alcool si impadronì di un operaio anarchico genovese di nome Mancini a cui erano stati rubati i pantaloni e cominciò a gridare che né i tedeschi né i russi erano invincibili. Non c’erano russi nella stanza che potessero cogliere l’allusione, ma l‘ingegnere tedesco (forse più ubriaco di lui),  si alzò di scatto, alzò il braccio e accettò la sfida di giocare un mondiale lì in Patagonia per dimostrare la supremazia della Germania.

Il caposquadra Casciolo, che era in una stanza vicina, ascoltando la discussione cominciava a temere che a questo punto la Coppa del 1938 stesse iniziando ad allontanarsi per sempre dall’Italia.

All’alba di quella notte, mentre lasciavano il bordello per fare ritorno a Barda del Medio con una vecchia Ford, gli italiani decisero di rischiare il titolo e di difenderlo con tutto l’onore possibile in quel momento ed in quel luogo.

Solo cinque o sei di loro avevano giocato a calcio ma uno, l’anarchico Mancini, aveva trascorso l’infanzia in una scuola di preti dove gli era stato insegnato a correre con un pallone ai piedi diventando un fuoriclasse vero.

L’euforia di giocare un mondiale

Il giorno dopo la notizia si diffuse su tutte le impalcature della gigantesca opera: i campioni del mondo italiani avevano accettato di mettere idealmente in palio la Coppa conquistata dalla nazionale negli ultimi mondiali del 1938.

I Mapuche indigeni non sapevano di cosa si trattasse ma credevano che la Coppa custodisse i segreti dei bianchi che li avevano decimati nelle guerre di conquista e vincerla poteva essere l’unico modo di riprendersi la loro rivincita.

Gli Inglesi non persero tempo a lamentarsi dei loro nemici tedeschi perchè dal quel fugace torneo potevano trarre gloria e vittoria.

Gli Argentini invece speravano che il governo li tirasse fuori da quell’inferno di caldo e sabbia ma nel frattempo studiarono segretamente una forma di catenaccio per impedire un’altra disfatta.

Altre squadre furono formate: la Polonia, per esempio, schierava operai e sacerdoti; La Spagna era imbottita di droghieri baschi mentre alla Francia, che non arrivava a contare undici giocatori, fu data l’autorizzazione per inglobare tre pescatori cileni.

I Guarani, che rappresentavano il Paraguay, erano invece in numero più che sufficiente.

I tedeschi insistevano perché tutto fosse fatto secondo le regole che credevano di ricordare: si dovevano sorteggiare tre gironi e la partita si sarebbe giocata nei luoghi dove sarebbe arrivato il telefono per chiamare Berlino e dare la notizia.

William Brett Cassidy ha insistito affinché gli arbitri potessero portare un revolver per far valere la loro autorità, e poiché, durante le amichevoli dei mesi precedenti, la maggior parte dei giocatori era entrata in campo ubriaca e talvolta armata di coltelli, la sua proposta è stata approvata.

A Soriano fu raccontato che appezzamenti di terreno di trecento metri furono sgomberati con i machete e, poiché nessuno ricordava le misure delle porte, allora fu deciso di farle larghe dieci metri e alte 2. Non c’erano reti per contenere la palla ma sia Cassidy che lo stesso zio di Soriano, Casimiro, in qualità di arbitri avrebbero giudicato con lo sguardo se la palla passava dentro o fuori dai pali.

Sandrini, argentino di origini italiane, cineoperatore ed ex fotografo di matrimoni fu invece voluto ed ingaggiato per «filmare i Mondiali in modo memorabile e rivoluzionario» citando le parole proprio di Valdimir Otz.

Il Torneo

La partita inaugurale si è giocata proprio a Barda del Medio, e come da cerimoniale è stata la squadra campione uscente dell’Italia ad esordire nel primo incontro affrontando la valorosa rappresentativa dei Guarani del Paraguay. Completava il girone la nazionale polacca.

I tedeschi giocavano il loro girone al di là del fiume, a Villa Centenario, contro francesi ed argentini.

Mentre a Zapala, sulla strada sterrata che portava al Bordello si affrontavano spagnoli, inglesi e mapuche nell’ultimo girone.

In tutte le partite si sono verificati episodi di accoltellamento. Inoltre il clima di nazionalismo e campanilismo generato dal campionato, ha avuto l’effetto di rallentare i lavori di costruzione della diga che, malgrado tutto, dovevano andare comunque avanti.

l’Italia ha battezzato il torneo con una vittoria per 4 a 1 contro il Paraguay ed i primi due feriti furono dei guarani che contestarono le decisioni dell’arbitro Cassidy che, nell’assegnare un rigore all’Italia, ha dovuto utilizzare un fucile al posto del fischietto.

In contemporanea sul campo di Zapala, lo zio Casimiro ha dovuto sparare ad un mapuche perché teneva il pallone sotto la maglia mentre correva verso la porta inglese. Malgrado i Mapuche ebbero qualche vittima, riuscirono comunque a vincere la partita per via di quel maledetto vizio del fair play che hanno da sempre gli inglesi.

I Mapuche dominano in realtà il loro girone rifilando 5 o 6 gol di scarto anche agli spagnoli.

Sul campo di Villa Centenario i tedeschi vincono il loro girone senza problemi anche per l’aiuto dell’arbitro Cassidy che nella partita contro l’Argentina espelle platealmente i due migliori giocatori della nazionale di casa, la cui difesa a quel punto ha ceduto malgrado si difendesse tirando pietre verso gli attaccanti tedeschi.

È questo il punto della storia in cui il ricordo dello zio di Soriano vacilla. Infatti ci sono 3 squadre per due semifinali: Italia, Germania e Mapuche.

Sembra che per votazione è stato deciso che i Mapuche andassero direttamente in finale mentre Italia e Germania giocassero la semifinale. In realtà alcune fonti riportano che questa decisione fu in qualche modo pilotata dal conte Otz. L’aristocratico vedeva infatti positivamente, la presenza della squadra locale degli indigeni mapuche fino all’atto finale del torneo, anche per mantenere caldo il clima dei tifosi locali.

Quella tra Germania ed Italia è stata una semifinale accesissima dal forte clima politico tanto da mettere in difficoltà lo stesso arbitro Cassidy. I tedeschi si presentarono indossando elmetti per proteggersi la testa e alcuni portavano spille quasi invisibili da usare nelle mischie.

Di contro gli italiani bruciarono uno stemma fascista e cantarono Verdi e tutti nascondevano manciate di peperoncino da lanciare negli occhi degli avversari come consigliato dai calabresi.

Considerato il clima, l’arbitro Cassidy prima del fischio d’inizio ha voluto fare un discorso sul pericolo di mescolare calcio e politica. Ma una volta iniziata la partita, anche lui, ha deciso di fare un passo indietro ritirandosi a bordo campo per non rischiare di rimanere impigliato in qualche pericolosa situazione.

Entrava in campo solo per separare a colpi di pistola in aria i giocatori che si picchiavano tra di loro. La partita è durata ben 3 ore ed ha visto una squadra azzurra mai doma. Soltanto il palese atteggiamento dell’arbitro a favore dei nazisti tedeschi mette la partita su un binario favorevole alla Germania.  L’espulsione (pare ingiusta) di Mancini, migliore in campo, e ben 3 rigori a favore dei tedeschi fissano il punteggio finale: Italia-Germania 3-4.

I tedeschi andarono a festeggiare al bordello e non immaginavano nemmeno che i mapuche, scesi dalle Ande senza nessuna tradizione calcistica, potessero vincere la finale come invece accadde tre giorni dopo, in una domenica grigia che la storia non ricorda.

Si racconta che, il giorno della finale, il telefono suonò da una parte all’altra dell’oceano e dalla Patagonia partì la prima telefonata della storia con destinazione Berlino.

I tedeschi annunciavano in patria di aver vinto il Mondiale ancor prima di giocare quella finale, che sembrava però una formalità.

Il Cile inviò la banda nazionale per suonare gli inni nazionali ma i Mapuche non avevano un paese riconosciuto né un inno, perciò, eseguirono una danza che invocava l’aiuto dei loro dei.

Poco dopo l’inizio della partita ha iniziato a piovere ed a grandinare così forte tanto che l’arbitro voleva annullare la partita.

Furono i tedeschi a rifiutarsi di sospendere il match proprio perché avevano già precedentemente comunicato in patria di aver vinto ancor prima di giocare e quindi temevano ritorsioni da parte del loro governo visto che la notizia era già stata festeggiata dal Fuhrer in persona.

Si giocò per tutta la notte poiché qualcuno aveva rubato i pali delle porte ma nessuno in campo se ne accorse. Così tutti correvano a vuoto impostando azioni senza trovare mai lo specchio della porta. Con la pioggia il campo diventò sempre più una palude di fango dove i mapuche , più abituati a quel clima, si trovavano a loro agio mentre i tedeschi correvano a vuoto perdendo piano piano le loro forze.

Fu così che all’alba qualcuno rimise in piedi i pali della porta tedesca, mentre una donna spuntata da una tribuna restituiva la palla favorendo volontariamente il centravanti mapuche:  segnò il gol vittoria che nemmeno l’arbitro Cassidy, questa volta, ha potuto annullare.

E’ così che, contro ogni pronostico, i Mapuche sono stati i Campioni del Mondiale dell’edizione 1942 in Patagonia.

Nessuna storia è vera

Ecco cosa rimane di ciò che si conosce, che è stato tramandato oralmente. E’ pura fantasia? In bilico tra realtà e mito, con la drammaticità della guerra e la storia del XX secolo sullo sfondo, questo passato del calcio contemporaneo merita di essere accettato.

Ho letto da qualche parte che “nessuna storia può definirsi vera” e che il rapporto tra storia e verità è molto spesso conflittuale. Con il Mondiale in Patagonia abbiamo davanti a noi qualcosa di immateriale, una voce tramandata negli anni fino a radicarsi nella memoria collettiva diventando una verità affascinante. Per questo, e solo per questo, consegnate i 100.000 yen a Katsuro Matsuda.

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